Interrrogazione a risposta scritta nel caso del bambino di 10 anni portato via alla madre e del caso di Giada - dicembre 2019
Interrogazione a risposta scritta 4-04379 presentato da GIANNONE Veronica testo di Domenica 22 dicembre 2019, seduta n. 281
GIANNONE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la Convenzione di New York del 1999 sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ratificata nel '91, stabilisce, all'articolo 3, che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, (...) l'interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente». L'articolo 12 garantisce al minore «il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa», prevedendo «la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne»;
la convenzione di Istanbul del 2011, all'articolo 5, obbliga gli Stati ad astenersi da qualsiasi atto di violenza verso le donne, prevedendo all'articolo 31 «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione»;
la Convenzione di Strasburgo stabilisce, nel combinato disposto degli articoli 3 e 6, il diritto del minore ad essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano, imponendo all'autorità giudiziaria di permettergli di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto;
il codice civile, all'articolo 315-bis, riconosce il diritto del fanciullo - che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento - ad essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano;
così come riportato da un recente articolo de «Il Giornale» - 15 dicembre 2019 - Alessio (nome di fantasia) è un bambino di 13 anni che chiede a gran voce di tornare a vivere con sua madre, dopo essere stato allontanato da casa dai servizi sociali;
tutto ha inizio nel 2010 quando Giada, la madre, chiede la separazione dal padre del bambino, denunciando: «erano anni che subivo, non ho mai avuto il coraggio di denunciare, ma Alessio vedeva tutto e la situazione era diventata pesantissima»;
durante la prima udienza, il padre chiederà senza successo, che Alessio gli venga affidato. In Corte d'appello, dopo aver denunciato la madre di non essere in grado di accudire il bimbo, chiede addirittura che venga messo in casa famiglia. La proposta viene accettata e i giudici dispongono una consulenza tecnica per valutare le capacità genitoriali della madre;
la consulente nominata dal Tribunale fa valutare il profilo psicologico della mamma ad una associazione che ha un conflitto di interesse in quanto si tratta di «un'associazione in cui la responsabile figurava nella sua stessa persona e il consulente legale era l'avvocato al quale si era rivolto l'ex marito di Giada»: la madre viene giudicata «simbiotica» addossandogli comportamenti del tutto inappropriati;
Alessio viene, senza preavviso, forzatamente prelevato da scuola e accompagnato in casa famiglia, a portarlo via, sotto gli occhi di tutti, ben otto persone, tra operati e polizia;
le prove che raccontano la realtà obbligata in cui era costretto a vivere Alessio non verranno mai prese in considerazione dal Tribunale: i verbali dell'educatore non contano, a dirlo sarà proprio il giudice che, dopo aver acquisito solo alcune delle prove documentali, dichiara in sentenza: «...rimane superfluo acquisire tutti i verbali e le videoregistrazioni degli incontri avvenuti presso il servizio sociale tra madre e figlio». A nulla servirà la scelta di Alessio che scrive una lettera al giudice chiedendogli di accogliere la richiesta di tornare a vivere con la madre;
nell'ultima udienza viene affidato di nuovo al padre; adesso vive con lui dal 31 luglio, ma Alessio non si rassegna a questa decisione, ogni volta che può ribadisce: «voglio tornare a vivere con la mamma, con lei era tutto più bello» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in
premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, anche sul
piano normativo, affinché venga data effettiva applicazione alle
convenzioni internazionali, garantendo il pieno diritto di ascolto del
minore, così come peraltro previsto dal codice civile.
(4-04379)
-Interrogazione a risposta scritta 4-04261 giovedì 5 dicembre 2019, seduta n. 272
GIANNONE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 54 del 2006, che ha istituito l'affido condiviso, afferma il principio della bigenitorialità, che stabilisce, il «diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori»;
quando nei confronti di uno dei genitori si dimostra una carenza o inidoneità educativa tale da considerare l'affidamento condiviso una soluzione pregiudizievole contraria all'interesse del minore, la strada da percorrere è quella dell'affidamento esclusivo;
l'affidamento esclusivo viene considerato un'eccezione e deve essere motivato. Ha bisogno della dimostrazione dell'idoneità del genitore al quale viene affidato il minore e l'inidoneità dell'altro;
l'articolo 155-sexies del codice civile prevede che: il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, è ascoltato dal presidente del tribunale dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano;
l'articolo 403 del codice civile prevede che: «quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione». Il collocamento ex articolo 403 del codice civile costituisce un provvedimento provvisorio, destinato ad avere effetto soltanto finché la competente autorità emetta quello definitivo;
la Stampa ha riportato la storia di S.T, chiamandola Lucia, nome di fantasia, una donna che, dopo la separazione col marito si è occupata del figlio per 10 anni, poi le è stato tolto. E da quest'anno il minore è affidato in via esclusiva al padre.
Oggi S. T.
come racconta all'agenzia Dire, vede suo figlio in uno spazio protetto,
«una volta a settimana per un'ora, in una saletta del comune con sbarre
alle finestre e con due operatrici a 50 centimetri che devono vagliare
foto, video, giochi, domande».
La ragione è in una consulenza tecnica d'ufficio del 2016, disposta dalla corte d'appello che le addebita di aver imbrigliato il figlio «in un conflitto di lealtà, che gli impedisce l'accesso al padre», chiedendo «un intervento urgente di collocamento del bambino presso il padre passando prima 10-15 giorni in uno spazio neutro di transizione». Il tutto motivato solo dai vissuti materni «pervasivi e penalizzanti»;
la Corte di cassazione ha evidenziato che il giudice, nel momento in cui la consulenza tecnica concluda per una diagnosi che non è supportata dalla scienza medica ufficiale, è tenuto ad approfondire per verificarne il fondamento. Non si può inoltre concludere per l'affidamento esclusivo del minore al padre basandosi solo su un giudizio non debitamente motivato d'inadeguatezza della madre, in un contesto di tale conflittualità;
«Andremo in Cassazione probabilmente - dichiara l'avvocato di parte - dopo che è stata respinta la richiesta di ascoltare il minore e ampliare il diritto di visita della mamma, alla quale la responsabilità genitoriale non è stata sospesa. I servizi - conclude - dichiarano di aver ascoltato il bambino più volte, ma non esiste una prova, e la bigenitorialità come sarebbe garantita con questo regime di visita?» -:
quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 in modo tale che i diritti dei genitori separati e dei loro figli possano essere realmente tutelati, anche alla luce del principio di bigenitorialità richiamato in premessa;
se intenda intraprendere iniziative normative affinché la sindrome
di alienazione parentale (Pas o Ap), o conflitto di lealtà o sindrome
della madre malevola, costrutti privi di validità scientifica, non
vengano più utilizzati nei tribunali e nelle consulenze tecniche
d'ufficio, anche alla luce del pronunciamento della Corte di cassazione.
(4-04261)
https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/04261&ramo=CAMERA&leg=18