Intervista a Lior Savan

Intervista a Lior Savan



di Avv. Michela Nacca Presidente di  Maison Antigone

8 novembre 2025


Abbiamo voluto intervistare Lior Savan, l'autore di "Mila. Quando il silenzio parla" e "Bambini senza voce" , recentemente pubblicati. 

Maison Antigone: Vorremmo partire dal suo primo libro. Lei racconta prendendo la prospettiva del nonno. Perché?

Lior Savan:   Perché lo sguardo del nonno è uno sguardo che vede senza volere nulla in cambio. Non parteggia, non combatte per sé stesso, non difende una posizione. È la figura che rimane quando tutti gli altri ruoli sono diventati conflitto. Quando ho visto la bambina allontanata, non ho visto una battaglia familiare. Ho visto un'infanzia che veniva spezzata. Io non potevo fingere che non fosse accaduto. Raccontare era il minimo necessario per non diventare complice del silenzio.


Maison Antigone:  Lei scrive sotto pseudonimo. Perché?

Lior Savan: Per protezione, e per responsabilità. Non voglio che l'attenzione si sposti sulle identità personali. Non è importante chi sono io, né chi sia la bambina. L'importante è ciò che accade. Le storie sono vere. Gli atti sono veri. Il dolore è vero. Ma le persone non devono essere esposte. Il nome non aggiunge nulla. La storia aggiunge tutto.


Maison Antigone: Nel secondo libro lei allarga lo sguardo dal caso singolo al sistema. Cosa emerge da questo passaggio?

Lior Savan: Che ci sono schemi che si ripetono. Molti bambini che rifiutano un genitore lo fanno perché hanno vissuto violenza, paura, minaccia. Non è immaginazione. Non è suggestione. E molte madri che chiedono protezione vengono trattate come colpevoli. Il problema non è un padre contro una madre. Il problema è un sistema che, dopo l'introduzione della legge sulla bigenitorialità, si è irrigidito su un principio astratto: 50 per cento con uno e 50 per cento con l'altro, come se una formula matematica potesse sostituire la verità delle relazioni. Questa ideologia è diventata più forte dell'ascolto. E quando un bambino dice che ha paura, la sua parola non viene accolta, ma reinterpretata.
Si finisce per proteggere il genitore che fa paura e punire quello che prova a proteggere.



Maison Antigone: C'è un punto che nel dibattito pubblico rimane quasi sempre sottaciuto: il prelievo coatto. Ne vuole parlare?

Lior Savan: Sì. Il prelievo coatto dovrebbe essere un rimedio estremo, usato soltanto quando un minore è in pericolo di vita. Invece, in Italia, viene disposto anche quando non c'è alcuna urgenza, quando non c'è violenza in atto, quando non c'è rischio immediato. A volte viene deciso perché un genitore ha più forza sociale, un avvocato più strutturato, una rete più ascoltata nei tribunali. E il risultato è che una bambina viene portata via dalla scuola, dall'oggi al domani, senza preparazione, senza gradualità, senza protezione psicologica. Non si protegge nessuno in questo modo. Si distrugge. Quando un giudice firma un prelievo coatto, firma una frattura che segna tutta la vita di un bambino. E molto spesso quella frattura era evitabile.



Maison Antigone:  I suoi libri vengono sempre pubblicati sia in italiano che in inglese. Per quale motivo?

Lior Savan:   Ho vissuto molti anni negli Stati Uniti, in ambienti scientifici e professionali dove l'inglese non era solo una lingua ma un modo di guardare il mondo. Per me scrivere in inglese è naturale, perché è una lingua che richiede chiarezza, verificabilità, precisione. Ma c'è un motivo ancora più importante.
Quello che accade in Italia non è un accidente locale. È parte di un fenomeno che riguarda molti paesi occidentali: l'uso di concetti ideologici per spiegare ciò che i bambini dicono, la tendenza a mettere in dubbio la voce di chi denuncia, la difficoltà a distinguere la tutela dalla punizione.
Portare questi libri anche nel mercato internazionale significa aprire un confronto più ampio, con comunità accademiche, giuristi, psicologi e operatori che altrove hanno già iniziato a mettere in discussione modelli simili.
Significa dire: ciò che accade qui deve essere guardato da fuori. La tutela dell'infanzia non ha confini. E nemmeno la responsabilità di parlarne.
Quello che accade in Italia non è un accidente locale. È parte di un fenomeno che riguarda molti paesi occidentali: l'uso di concetti ideologici per spiegare ciò che i bambini dicono, la tendenza a mettere in dubbio la voce di chi denuncia, la difficoltà a distinguere la tutela dalla punizione.
Portare questi libri anche nel mercato internazionale significa aprire un confronto più ampio, con comunità accademiche, giuristi, psicologi e operatori che altrove hanno già iniziato a mettere in discussione modelli simili.
Significa dire: ciò che accade qui deve essere guardato da fuori. La tutela dell'infanzia non ha confini. E nemmeno la responsabilità di parlarne.


Maison AntigoneArriviamo alla domanda conclusiva. Qual è la speranza?

Lior SavanLa speranza non è un sentimento astratto. È una direzione. E nasce da una convinzione semplice: si può cambiare. La giustizia minorile può tornare ad ascoltare, se ricorda ciò che ha dimenticato lungo la strada. Un bambino non è una formula da equilibrare. Non è un cinquanta per cento con uno e cinquanta per cento con l'altro. Non è un campo neutro su cui far valere diritti adulti. È un essere umano in crescita. E la crescita non è simmetrica, non è divisibile, non è programmabile. La speranza è che i tribunali tornino a formarsi seriamente.  Che i giudici siano affiancati da psicologi clinici con reale competenza nel trauma.  Che le consulenze non vengano più affidate a professionisti che applicano teorie screditate o schemi prefabbricati. Che i servizi sociali vengano selezionati e valutati su base di formazione reale, capacità relazionale, sensibilità e non su appartenenza a correnti o reti territoriali. Che i curatori speciali non siano più figure che interpretano, ma figure che ascoltano davvero.
La speranza è che si riconosca ciò che oggi viene negato: proteggere un bambino significa proteggerne i legami sani, non spezzarli. Significa sostenere chi lo cura, non sospettarlo. Significa ascoltare la sua paura, non spiegarla via.
E poi c'è una speranza più grande. Che un giorno non ci sia più bisogno di scrivere libri come questi. Che la giustizia minorile non sia più teatro di ferite, ma luogo di cura. Che il bambino sia riconosciuto non come oggetto di procedimento, ma come soggetto vivente.
La speranza è concreta: giudici formati, servizi competenti, curatori preparati, famiglie ascoltate, bambini creduti.
Non è utopia. È semplicemente ciò che una società civile deve a sé stessa. 




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Bambini senza voce di Lior Savan non è un libro di storie isolate. È un libro su un meccanismo che si ripete.

Dietro ogni decreto, ogni relazione e ogni firma ufficiale ci sono bambini messi a tacere in nome della tutela. Questo libro restituisce loro la parola.

Scritto interamente a partire da atti processuali, relazioni tecniche, sentenze, ordinanze e testimonianze di pubblico dominio, Bambini senza voce è un'opera di verità civile. Mostra come i sistemi istituzionali possano trasformare il linguaggio della cura in uno strumento di controllo. Allontanamenti ingiustificati, etichette psicologiche prive di fondamento scientifico e silenzi burocratici compongono uno schema che attraversa luoghi, famiglie e generazioni.

Ogni storia segue un percorso ricorrente: una famiglia spezzata, un intervento urgente giustificato dal cosiddetto bene del minore, mesi o anni di attesa in cui i legami si dissolvono e i ricordi vengono riscritti. Nel tempo sospeso tra un decreto e l'altro, intere infanzie cambiano forma. Il tempo diventa un'arma, il silenzio la sua lama più affilata.

Il libro svela l'alleanza ricorrente tra servizi sociali, consulenti tecnici e curatori speciali, il cui potere congiunto spesso sostituisce la voce del bambino. Mostra come espressioni come alienazione genitoriale, rifiuto immotivato o reset entrino nel linguaggio istituzionale e finiscano per ridefinire la realtà. Ciò che nasce come atto amministrativo si conclude come tragedia umana.

Eppure Bambini senza voce non è solo denuncia. È anche un gesto di speranza e di resistenza. Attraverso una ricostruzione rigorosa e un linguaggio chiaro, restituisce significato alle parole ascolto, protezione e giustizia. È un atto collettivo di memoria per chi non è stato ascoltato e un richiamo alla coscienza per chi ancora può esserlo.

In queste pagine non c'è spazio per il sensazionalismo. La forza del libro è nella precisione. Ogni fatto proviene da fonti verificabili e pubbliche. Ogni testimonianza è stata raccolta nel rispetto dell'anonimato. Il risultato è insieme documento e racconto: il ritratto di una crisi silenziosa che riguarda non solo le famiglie ma la coscienza stessa di una società.

Leggere Bambini senza voce significa attraversare la linea sottile che separa la legalità dall'umanità. Significa riconoscere come istituzioni nate per proteggere possano, per ideologia o inerzia, diventare strumenti di ferita. E ricordare che dire la verità resta, ancora oggi, il primo gesto di cura.

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"Mila: Quando il Silenzio Parla" di Lior Savan è una testimonianza cruda, commovente e necessaria. Racconta la storia vera — sebbene romanzata nei nomi e nei luoghi — di una bambina di sette anni improvvisamente allontanata dalla sua famiglia dopo aver denunciato un presunto abuso. Da quel giorno, il silenzio è diventato la sua unica compagnia: nessun contatto con la madre, i fratelli, i nonni. Nessuna voce amica. Nessun abbraccio.

In un'Italia che si definisce civile, in un sistema che dovrebbe tutelare i più deboli, questa storia mostra l'altra faccia della giustizia: quella che punisce chi parla, che protegge il potere invece della verità, che applica meccanismi burocratici prima ancora di ascoltare.
Nel corso di oltre cento giorni di isolamento forzato, l'autore ricostruisce documenti, atti, decisioni e omissioni. Senza mai usare nomi reali, ma raccontando fatti accaduti.
Lungo il racconto si snodano interrogativi morali, giudiziari e umani: cosa accade quando a essere processata non è la verità, ma chi la dice? Quando la tutela si trasforma in punizione?Un libro che non è soltanto una denuncia, ma un atto di memoria, di resistenza, di amore. Scritto per chi crede che la giustizia non debba mai prescindere dall'umanità.

E per chi, come Mila, non ha smesso di credere nella forza della verità.

Lior Savan è lo pseudonimo di un ricercatore, ingegnere e dirigente di azienda italiano con una lunga carriera internazionale nel campo della scienza, della tecnologia e dell'industria. Dopo aver potuto lavorare nella ricerca di base anche al fianco di premi Nobel e trascorso anni all'estero, ha deciso di tornare in Italia, mosso da un profondo senso di appartenenza e fiducia nel proprio Paese.

Questo libro non nasce come opera letteraria, ma come atto di testimonianza civile. Una risposta umana a un'ingiustizia che ha colpito da vicino la sua famiglia, e che ha messo a dura prova la sua fiducia nelle istituzioni. Lior non cerca vendetta, ma verità. Parte dei proventi di questo libro sarà devoluta a organizzazioni che si occupano di bambini vittime di violenze istituzionali.


Grazie per la Tua testimonianza preziosa Lior Savan!

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